Lettere dal fronte -IIIA

Conclusa da tempo la Ia guerra mondiale, i ragazzi di IIIA hanno provato a viverla sulla loro pelle, immedesimandosi in un soldato in trincea.

La consegna aveva dei vincoli: 
  • doveva essere una lettera al padre, quindi un testo narrativo-descrittivo;
  • la prima sequenza doveva essere una descrizione di una trincea sull’Ortigara, descrizione da effettuare con il linguaggio dei 5 sensi. Il vissuto che dovevano rendere era quello di PAURA, SCONFORTO, DIFFICOLTA’;
  • la seconda sequenza doveva essere un flash-back per contrasto, una narrazione di giochi dell’infanzia, un amarcord doloroso. Vissuto: FELICITA’, SPENSIERATEZZA;
  • la terza sequenza doveva essere un ritorno brusco al presente. Vissuto: TERRORE.

I ragazzi sono stati a dir poco bravissimi…A leggere in classe i loro lavori, giuro, ho avuto il groppo in gola…
BRAVI!!!!

A voi, lettori, buona lettura!
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Caro padre,

sono qui in trincea, sull’Ortigara, ormai da dieci giorni. Le condizioni di vita sono durissime e il clima invernale qui è molto rigido. Il generale Cadorna con noi è molto severo, non fa che darci comandi. Se qualcuno non li svolge come vien detto, subito una fucilata al petto. Questo accadde al mio migliore amico Emilio che aveva ammutinato ai comandi del generale. Questi, livido dalla rabbia, impugnò il suo fucile e me lo diede costringendomi ad ucciderlo. Perché dovevo farlo? Era il mio migliore amico. L’unico amico con cui strinsi una vera amicizia. Ci aiutavamo a vicenda e durante le freddi notti in trincea ci raccontavamo il resoconto della giornata, paure e segreti. A volte, la quieta atmosfera notturna in trincea si interrompeva con le nostre risate. Oh, che momenti indimenticabili avevo vissuto con Emilio. Immaginavamo la fine di questo interminabile conflitto, immaginavamo un futuro migliore, immaginavamo che una volta rientrati in patria avremmo aperto un ristorante, si, l’avremmo chiamato l’Italia Vincitrice! Perché è questo il sogno di ogni italiano! Un sogno che vede soldati italiani riprendersi i territori persi durante le lunghe e sanguinose battaglie precedenti, un sogno che vede la scacciata degli Stranieri da una terra che non gli è madre, un sogno che vede finalmente l’Italia unita!

Non volevo farlo,ma non avevo altra scelta. Impugnai il fucile, puntai. Un rimbombo frastornate echeggiò su tutto il fronte. Emilio era morto. Vedevo il suo fragile corpo accasciarsi. La sua immacolata camicia bianca era ormai sporca di sangue. Era il sangue di un innocente. In un primo momento, sentii come un pugnale invisibile perforare la mia anima, solo in quell’attimo mi resi conto che avevo ucciso anche una parte di me.

<<Bravo!>> mi disse Cadorna. <<questo è il giusto comportamento di un vero soldato!>>. Ma non ero affatto felice. Una volta che tutti lasciarono il campo, mi diressi da Emilio. Non volevo lasciarlo. Presi il suo corpo ormai in fin di vita. Non molto lontano dal fronte scavai una piccola fossa; lì ci deposi Emilio. In quel momento, insieme al suo corpo, seppelìì anche i nostri sogni ed una parte della mia vita.

Ho ammazzato il mio migliore amico … IO! La persona di cui si fidava, io l’ho ucciso, ho ammazzato una parte di me! Chi potrà mai perdonarmi, se io stesso mi condanno! Chi? Chi mi ridarà la mia innocenza? Chi? Vorrei svegliarmi, scoprire che era solo un sogno … mi sto illudendo … è la realtà, la dura realtà! Vorrei dare di nuovo un senso alla mia vita … ma come? Cosa potrò mai fare?

Ancora adesso padre caro ho paura, ho paura di non poter più rivedere voi, e mia madre. Come faccio a continuare a combattere con un peso che porto ancora tuttora? Come un chiodo piantato nell’anima e che non si potrà strappare mai più! Mi sento perso senza nessuno accanto. Quanto vorrei poter essere vicino a voi, come quando ero un bambino … ricordate? Che bello! Le domeniche a raccontare storie davanti al focolare con la mamma che preparava la sua famosa torta al cioccolato ed il suo profumo invadeva la casa, quando la sera io ed i miei fratellini entravamo nella camera di nostra sorella Sofia a riempirgli le pantofole di terriccio preso in giardino, le nostre scampagnate in campagna dei nonni a giocare con i pesciolini rossi che sguazzavano nella fontana, quando dovevo andare a scuola camminavamo mano nella mano e voi che mi domandavate continuamente cosa farò da grande, io vi abbracciavo dicendovi <<Padre, da grande farò l’eroe!>> .

Ricordate anche quando durante l’estate andavamo al mare? Ancora oggi mi ricordo che, durante la mia infanzia, ero proprio una peste! Non riuscivo mai a stare fermo sul lettino della spiaggia, correvo di qua e di là, mi immergevo nella limpida acqua andando a caccia di granchi con la mia retina blu, facendo i dispetti ai bagnanti che camminavano sulla spiaggia schizzandogli l’acqua addosso! Che risate! Durante il caldo pomeriggio io ed i miei fratellini ci rifugiavamo sotto l’ombrellone costruendo enormi castelli di sabbia. Questo episodio sicuramente è impossibile dimenticarlo! Ricordate l’ultimo giorno di vacanza al mare? Quando stavate riposando io e Carlo vi avevamo lanciato un secchio d’acqua? Voi inutilmente ci rincorrevi cercando di prenderci! Quelli erano momenti indimenticabili! E come non dimenticarmi di quando io e i miei fratelli giocavamo a nascondino con la gonna della nonna!

Ora, invece, sono io che mi nascondo come un topo … come se fossi colpevole, colpevole di cosa? Ho ancora sedici anni! Ho ancora una vita davanti! Perché non posso trascorrere in tutta spensieratezza la mia adolescenza? Gli anni si sa, passano in fretta! Non posso e non voglio bruciare i miei sogni che intendo realizzarli per colpa di una guerra desiderata da molti Stati che si illudono ancora di trovare la soluzione di tutti i loro problemi. Anche se, alla fine, è solo una tragica illusione che si rivela vana costando così la vita ad un numero immenso di uomini. Perché uccidere dei poveri innocenti? Perché disprezzare così la vita altrui? La vita è un regalo che solo Dio può fare, un regalo inalienabile e sacro.

Sognavo di fare l’eroe senza macchia e senza paura, ma adesso vedendo la tragedia, la morte e gli spari, ho paura, ho paura di fare la fine di Emilio. Perché si è comportato in questo modo mettendo a rischio la sua vita? Ora non so più come comportarmi, non so più chi sono, ormai sono uguale agli altri. Ho perso la mia unicità. Abbiamo solo una mentalità. Pensiamo tutti allo stesso modo, abbiamo tutti la stessa paura di morire, lo stesso patire. Perché la guerra ci ha ridotti in questo modo?

La paura invade i miei pensieri. Se avessi affrontato faccia a faccia Cadorna? Cosa mi sarebbe successo? Cosa mi avrebbe riservato in serbo? Sarei mai tornato sano e salvo a casa? Avrei mai potuto riabbracciare i miei cari? Avrei mai sperato un futuro migliore?

Padre, madre, pregate per me, pregate Dio affinché benedica la battaglia di noi Italiani. Se non dovessi tornare, avrei una richiesta, che dopo la mia morte mi sia concesso di riunirmi a voi. Nonostante tutto farò il mio dovere fino all’ultimo.

Vi saluto. 

Vostro figlio.
Costanza Testa
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Caro padre, sono qui in trincea, sull’Ortigara, ormai da dieci giorni. Le condizioni di vita sono durissime e il clima invernale qui è molto rigido. Il generale Cadorna con noi è molto severo ed io… io ho paura, ho paura di non poter più rivedere voi, padre caro, e mia madre… Ho perso la mia libertà. La mia gioia di vivere. Sono costretto a vivere in questa gabbia maledetta, circondata da filo spinato. Perché questo? Bisogna stare sempre attenti. I cambi sono sempre più pochi ed io non dormo da circa tre giorni. Questo inferno non deve andare avanti, deve finire al più presto. Molte persone hanno dato la loro in vita per salvarci. Non è passato neanche un mese e sono morte migliaia e migliaia di persone. Gli arditi, i più coraggiosi, devono cercare di avanzare, di combattere contro il nemico, ed io faccio parte di loro. Ultimamente ho perso il coraggio, ho perso tutto, persino me stesso. Ogni giorno ci sono centinaia e centinaia di feriti. Le loro urla mettono i brividi. Non posso ascoltarli, non ci riesco. Il loro lamento di dolore è così forte che il mio cuore inizia a battere, come se volesse scappare anche lui da questi giorni di dolore insopportabili. Forse un giorno ci sarò anche io al loro posto, ma non vorrei soffrire così tanto. Sono sempre stata una persona che non ha mai mollato, che ha sempre combattuto per tutto, che ha sempre avuto coraggio, grinta. Adesso sto diventando una persona che non crede più in se stessa, che butta all’aria i propri sogni. Il cibo man mano comincia sempre di più a scarseggiare. La temperatura pian piano comincia a scendere sempre di più. Tutti i giorni non fa altro che piovere. La trincea si riempie sempre di più d’acqua fino ad arrivare alle mie caviglie. Non posso alzarmi, non posso muovermi, non posso parlare. Non ricordo più come si cammina, come ci si muove, come si parla. Posso soltanto pensare, pensare a voi e al vostro dolore. Ho una nostra foto vicino a me. La guardo sempre e mi ricordo ancora di quel giorno. Piango. Ogni mia lacrima mi ricorda di voi. Cerco in tutti i modi di pensare al meglio, ma non ci riesco. Non riesco più a sorridere da quando non sono più con voi.

Ho cercato di salvare la vita ad una persona, ma non ci sono riuscito. Mi ricordo ancora i suoi occhi pieni di dolore. Gli avevano dato un colpo di pistola vicino al cuore. Ho cercato di levargliela in tutti i modi, ma niente da fare. Tutti i soldati mi guardavano e mi dicevano di lasciar stare e che non c’era più nulla da fare. Ma come potevo? Stavo perdendo uno dei miei amici conosciuti da pochi giorni. Il panico e la paura si stavano impossessando di me. Non sapevo cosa fare. Mi sentivo come un padre per lui. Non dimenticherò mai di quello che è successo e quello che succederà. Non dimenticherò molto facilmente di lui, lo porterò sempre nel mio cuore.

Quanto vorrei poter essere adesso vicino a voi, come quando ero bambino.. ricordate? Che bello! Le domeniche a raccontare storie davanti al focolare, e i miei fratelli, piccoli, a giocare a nascondino con la gonna della nonna.. Ora invece sono io che mi nascondo, come un topo… come se fossi colpevole… colpevole di cosa? Vorrei tornare bambino e godermi quei vostri lunghi abbracci, così sarei più al sicuro. Protetto da tutto il mondo. Ricordo che ogni volta che papà tornava da lavoro andavamo sempre a giocare fuori in giardino. Tu, padre, avresti fatto qualsiasi cosa per vedermi felice e farmi vivere bene. Ora perché non vieni a prendermi e portarmi via da questo maledetto inferno? Questo si che mi renderebbe felice, molto felice.

Tu, madre, mi preparavi sempre quel piatto di pasta caldo che era la fine del mondo. Ogni volta che lo facevi mi rendevi davvero contento ed avevo un sorriso a trentadue denti. Adesso mi servirebbe proprio quello per tirarmi su il morale. Quanto a voi fratellini miei. Mi mancate. Mi mancano le nostre giornate da pazzi scatenati. Ogni giorno, la mamma ci ordinava di fare i compiti in cameretta e di non scendere fino a quando non li avessimo finiti. Ma noi ci mettevamo a giocare insieme e passavano le ore, fino a quando la mamma non ci mise in punizione. Ogni giorno ne facevano di tutti i colori. Ricordo che una volta ne abbiamo fatta davvero una bella grossa. Stavamo passeggiando per il nostro paese, quando ad un certo punto non sapevamo più cosa fare. Ad un tratto abbiamo aperto il pollaio del nostro vicino e abbiamo fatto scappare tutte le sue galline e noi siamo scappati di corsa. Nessuno è venuto mai a sapere che siamo stati noi, fino ad oggi.

Vorrei essere lì, insieme a voi, a continuare a comportarci come dei bambini. Vi voglio davvero bene ragazzi. Mamma, papà non dimenticherò mai quello che avete fatto per me. Grazie.

Ilaria Tolomei


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02/11/1915 

Caro papà, 

È ormai una settimana che siamo partiti, ma voi mi mancate come se fosse un anno che non ci sentiamo. La posta non arriva sempre e spesso non la fanno partire, perciò colgo l’ occasione per scrivervi e per dirvi che vi voglio moltissimo bene. Spero che questa non sia l’ ultima volta che vi scriva, tuttavia temo moltissimo che lo possa essere.

Siamo in trincea da due giorni. Non ho mai visto un posto cosi orripilante, è un inferno. Non ho né parole né sentimenti per descrivere questa guerra, non esiste un sentimento così forte, so solo che voglio tornare a casa. Passiamo tutte le giornate a scavare la trincea, ma con moltissima allerta, per paura che il nemico attacchi da un momento all’ altro. Quando la sera ci addormentiamo non sappiamo se la mattina ci risveglieremo. Non abbiamo cibo, acqua, non abbiamo niente di niente. Non si riesce a respirare, come fossimo in una fogna.

Quanto vorrei ritornare ad un tempo, ad un tempo in cui giocavo felice, mi divertivo senza pensare a nulla, solo a me e al mio gioco. Quando mi alzavo la mattina e andavo a scuola non molto felice, ma una volta a casa diventavo il re del mondo, che giocava fino all’ ultimo respiro. Che ero sempre al campo vicino casa con i miei amici a giocare a pallone, a divertirmi. E quando tornavo a casa con qualche graffio o qualche ferita e mia madre mi curava subito. Quando nel fine settimana ero con mio padre a giocare davanti casa, o quando mio padre e mia madre mi aiutavano con i compiti per il giorno dopo. Quando la domenica dopo la messa mio padre cucinava uno dei miei piatti preferiti e invitava nonna e nonno a pranzo con noi. Vorrei solo ritornare quel ragazzo che poteva stare a casa con la sua famiglia, a divertirsi e a non pensare a niente. Questo è quello che vorrei.

Io vorrei tornare a casa, però purtroppo credo che non possa accadere. Ogni giorno è un giorno in meno alla morte, perciò tutti noi abbiamo paura della morte e temiamo che sia più vicina di quanto sembri. Io ho paura tutto il giorno. Da mattina a pomeriggio non si può fiatare, altrimenti si verrebbe scoperti e poi uccisi.. la notte non si ha mai la certezza di risvegliarsi la mattina dopo. Si ha il terrore di essere visti e uccisi in qualsiasi momento.

Io prego solo che questo inferno finisca e che io possa ritornare da voi a casa. Mi mancate moltissimo e vi voglio dire di volervi moltissimo bene e che sono fiero di voi.

Spero che ci sia una prossima volta, Guglielmo.

Guglielmo Ruggeri


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13 settembre 1916.



“Caro padre, sono qui in trincea, sull’Ortigara, ormai da dieci giorni. Le condizioni di vita sono durissime e il clima invernale qui è molto rigido. Il generale Cadorna è molto severo con noi ed io… io ho paura, ho paura di non poter più rivedere voi, padre caro, e mia madre… Ho paura di non poter più vedere la luce del giorno… Ho paura di non poter più tornare a casa. Chissà per quanto tempo ancora i miei occhi vedranno l’alba. Chissà per quanto tempo ancora starò qui in trincea a scrivere lettere. Chissà quando arriverà il mio ultimo respiro. Mi sembra di poterli contare sulle dita della mano i miei ultimi respiri. Ho l’impressione che mi stia scivolando via tutto dalle mani. Mi sembra di essere ancora nel mio letto, nella mia camera, nella mia casa. Mi sembra di sognare ogni cosa. Mi sembra di essere in un incubo, talmente reale da pensare che sia vero. Mi ritrovo in una vignetta sfocata e non so nemmeno il perché. Non so nemmeno per quale motivo esiste la guerra: cosa credono di risolvere con questo conflitto? Uccideranno solo milioni di persone. Ed io? Quale sarà la mia sorte? In quale modo atroce il mio cuore smetterà di battere? Potrei morire in milioni di modi, non so quale sia il meno doloroso. Forse dovrei farla finita e buttarmi su quel filo spinato, come hanno fatto i miei compagni di battaglia. Forse invece dovrei solo sperare di ricevere un proiettile nel petto. Con la morte, darei un taglio a tutte queste sofferenze, non vi pare padre? Non posso far altro che starmene qui in trincea seduto a scrivere lettere, che non so nemmeno se spedirò, e sognare il momento in cui verrà abbreviato il mio tormento. Eppure non riesco a metter fine alla mia vita. Non riesco a gettarmi su quel filo spinato. Ho paura. Dopotutto, non è legittimo avere paura? Ho forse paura d’avere paura? Non ho mai avuto molto coraggio, fin da quando ero bambino, ma credo che chiunque avrebbe paura, al posto mio. Ditemi, voi, padre, che avete studiato e che avete un’immensa cultura, cosa si prova mentre ci si rende conto che non ci sarà una seconda opportunità? Cosa si prova nel momento in cui arriva l’ultimo respiro? Cosa si prova nel momento in cui ci si accorge che non si potranno più rivedere i propri cari? Avrò forse paura? Oppure gioirò per avermi lasciato alle spalle quella vita che, per me, era da buttare?


Quanto vorrei poter essere adesso vicino a voi, come quado ero bambino, vi ricordate? Che bello! Le domeniche a raccontarci storie di streghe e fantasmi davanti al focolare, a mezzanotte. Quanto speravo che le uniche paure che dovessi vivere nella vita fossero quelle. Quelle angosce che provai all’epoca mi sembrano bazzecole, oggi. Vi ricordate quando mi donaste quel vecchio orologio che vi era stato tramandato dal nonno? Non ve l’ho mai detto, ma avevo le lacrime agli occhi. Quando si ha paura di morire si svelano tanti piccoli segreti che, altrimenti, sarebbero stati tenuti nascosti per molto tempo. Vi ricordate quando la mamma portò me e i miei fratelli per la prima volta alla vigna per la vendemmia? Quanto ci divertimmo quel giorno! Eravamo così felici, spensierati, beati. Vi ricordate invece il giorno in cui cadde il primo dentino di Giuseppe? Come piangeva! Sembrava impazzito. Devo ammettere che non riuscivo a smettere di ridere. E quando invece la mamma mise lo zucchero su quell’unica fetta di pane che ero riuscito a guadagnare con il mio lavoro? Maria, Giuseppe e Antonio mi facevano le pernacchie, dopo due giorni che mi stavo vantando con loro. Quanti bei momenti ho passato con i miei fratellini, specialmente Maria. Adoro mia sorella. Mi ero preso l’impegno di proteggerla da ogni pericolo, di provare a evitarle ogni sofferenza e invece sono partito per difendere un qualcosa che non è nemmeno mio. Sono partito per una guerra inutile. Sono partito per morire. Se non ritornerò a casa, ricordale sempre che la proteggerò dal cielo e che le starò sempre vicino. Vi ricordate quando giocavamo a nascondino? Io e Antonio correvamo a nasconderci e Giuseppe perdeva ogni volta. Non sapeva nemmeno contare e lo faceva in modo strampalato. 1, 2, 5, 9, 10, 99, 115… Lo facevamo contare fino a 1000 mentre scappavamo ridendo per casa con la gonna a fiori della nonna. Rubavamo il suo cappello e, ogni volta che ci trovava cambiavamo le regole del gioco. Poi cominciava a piangere e correva da voi disperato. Ma voi non riuscivate mai a trovarci. Ora posso svelarvi che ci nascondevamo sempre nella cesta della biancheria sporca, dove voi non avreste mai sbirciato. Giocare a nascondino riempiva il nostro cuore da fanciulli di felicità. Non c’era gioia maggiore di cercare tutti i nascondigli migliori, dove nessuno potesse mai trovarci, dove ci sentivamo davvero protetti.


Ora invece nascondermi non mi dà più gioia. Mi nascondo come un topo, come un coniglio. Sono forse colpevole!? Ma colpevole di che cosa!? Non ho mai osato fare del male nemmeno ad una mosca! A volte mi sale la rabbia e non capisco più nulla. Non riesco a spiegarmi il motivo per cui io debba stare a qui a sprecare la mia vita per qualcosa che non mi appartiene. Potrei essere vicino a voi, ora, potrei avere una famiglia, una moglie, dei figli. Potrei essere felice e, perché no, potrei rendere felice qualcuno. Sarei in grado di star vicino a voi, a mia madre e ai miei fratelli. Sono solo un uomo privato delle sue gioie. E’ come se fossero passati 70 anni della mia vita e mi ritrovassi ai pentimenti dei novantenni. Mi ritrovo a pensare al passato, perché è il futuro che i fa paura. Mi ritrovo a pensare al modo in cui morirò. Sono costretto a vivere nell’ansia, nell’angoscia. M’hanno rubato i sogni. M’hanno rubato la voglia di vivere. M’hanno rubato tutto. Mi sento vuoto, come m’avessero svaligiato la casa. M’hanno svaligiato il cuore. Devo lasciarmi andare? O devo lottare e ricostruire tutto daccapo? Con il tempo forse lo capirò.
Caro padre, ora che è arrivato il momento di lasciarvi, mi auguro tutto il meglio per voi, per mia madre e per i miei fratelli. Curatevi di Maria, Giuseppe e Antonio. Pregate perché io possa tornare a casa sano e salvo.

Elisa Carrarini
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Caro padre,

sono qui in trincea da più di un mese, credo. Ho perso la condizione del tempo. Non ricordo più nemmeno il giorno in cui vi ho lasciato. Siamo partiti in tanti e c’erano anche i miei amici. Sono giorni che non li vedo e credo che abbiamo cessato di combattere. Come sta vostra moglie? Mi manca tanto anche lei, la sua voce, il suo profumo, la sua cucina. Con molta fatica siamo riusciti a scavare la trincea e a circondarla di filo spinato. Fin dall’alba si sentono suoni acuti, rimbombanti, forti che sogno anche la notte. Delle volte mi è capitato che, mentre stavo dormendo, mi svegliavo di soprassalto, credendo che avessero sparato o lanciato qualcosa. Come vi ho già detto, padre, le condizioni di vita sono molto dure: spesso siamo costretti a camminare nelle trincee con l’acqua che arriva fin sopra la vita. Il clima è rigido, con qualche fiocco di neve, sono poche le volte che ho visto la luce del sole.

Quanto vorrei poter essere adesso vicino a voi, come quando ero bambino. Ricordate? Quando la madre mi stringeva al petto dicendomi che sarei diventato forte e coraggioso. Quando giocavo insieme ai miei fratelli a nascondino con la gonna della nonna. Bei tempi!

Non avrei mai pensato di poter finir qui, sul fronte, a combattere per la patria, per completare l’Italia e per sentir la soddisfazione di dire: SI sono italiano e ho combattuto per la mia nazione e proprio come direbbe Manzoni: Oh dolente per sempre colui che da lunge, dal labbro d’altrui, come un uomo straniero, le udrà! Che a’suoi figli narrandole un giorno dovrà dir sospirando: io non c’era. Ma accanto a questo mio incoraggiamento positivo ce n’è uno negativo che mi f sentire un codardo, un traditore, un topo in cerca di un nascondiglio per non essere trovato. Ho paura che la morte mi prenda e mi trascini con sé. Non voglio. Mi sento colpevole, ma non so di cosa. Non sto in pace con me stesso. Mi basterebbe vedere il vostro volto, padre, per trovare un po’ di forza e di fiducia.

Tristemente devo lasciarvi, il generale Cadorna ci chiama.

Un abbraccio.

Vostro figlio

Flavia Mercuri
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Caro padre,

ecco che ti riscrivo quest’ennesima lettera. Te le scrivo per farti vedere che il tuo figliolo è solido come una roccia e che ancora oggi vive per fortuna. Nelle mie lettere ti ho sempre scritto cosa accadeva e cosa c’era di nuovo, ma non ti ho mai detto di come viviamo e in quali condizioni siamo costretti a vivere, bene oggi te le dirò. Siamo stati costretti fin da quando siamo arrivati a vivere in condizioni pessime, inumane. Il fango che c’ era arrivava fino al bacino ed a malapena riuscivi a muoverti. Il rancio che ci davano, che per loro era del cibo, era raro che fosse consegnato e quello che arrivava era acido e andato a male. L’acqua che c’era la potevi utilizzare unicamente per berla e non ti ci potevi assolutamente lavare. E siccome non ci lavavamo non eravamo tra i più puliti del mondo. Le pulci e le zecche ci mangiavano vivi e io e i miei compagni eravamo obbligati a schiacciare questi parassiti. Dato che ci avevano avvisato di prendere solo l’occorrente da casa non ci siamo portati i rasoi. Difatti ora, se tu mi vedessi, mi assomiglieresti a uno sconosciuto: siamo completamente pelosi. Io sono quasi diventato pazzo a furia di sentire le granate che fischiano e che scoppiano, gli spari continui senza un attimo di tregua e le urla terrorizzate dei miei compagni.

Ti voglio dire anche un’altra cosa, non so se ti ricordi di Giuseppe, quel mio amico che frequentavo da piccolo…. Lui ha cercato di scappare da tutti questi spari e queste urla. Lo ha fatto di notte. Ma mentre stava cercando di scappare nel bosco, è stato scoperto ed ucciso. Giuseppe, povero Giuseppe…

Ma riesci a ricordarti quanto era bello quando noi stavamo dentro casa a giocare insieme a dadi! Oppure quando uscivamo fuori e noi due soli soletti giocavamo a rincorrerci e a fare capriole. Mi ricordo anche quando quella volta che avevamo fatto una scommessa. Avevamo scommesso su chi riusciva a nascondere le pantofole di mamma: le ha cercate un giorno intero, poi alla fine le ha ritrovate e le abbiamo raccontato lo scherzo e tutti e tre ci siamo messi a ridere come dei matti. Quelli sì, che erano bei tempi! Era più bello persino quando stavamo insieme e guardavamo il soffitto per ore senza ascoltare e senza fare niente. Quello era di sicuro meglio di questo che ora io sto vivendo.

Ora penso e ripenso alla causa di tutto questo. Il voler espandersi oltre i propri confini…Che sciocchezza! Ma non bastavano le terre che abbiamo già? In fondo non abbiamo perso moltissimo terreno: ci resta l’Italia. E poi gli uomini che sono a comando di queste guerre sono tra i più crudeli del mondo! Sono avidi e insaziabili. Ma noi cosa abbiamo fatto di male per meritare tutto questo? Perché non vengono i generali e i comandanti di tutti gli eserciti a combattere la guerra e rischiare la loro vita ogni singolo secondo? Perché non ci hanno lasciato stare a casa dove eravamo e a continuare la nostra vita di tutti i giorni?

Vostro Alex

Alex Bojor
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Caro padre,

quanto mi mancate … ormai sono qui in trincea ormai da dieci giorni, o forse di più! Le condizioni in cui viviamo sono durissime e il clima è molto rigido. Il generale Cadorna con noi è molto severo ed io … io ho paura, ho paura di non poter rivedere voi, padre , padre caro, e mia madre! Si sono un codardo! Ho paura … ma questo posto è un inferno, forse peggio! Le trincee sono buche nel terreno, non si respira, mi sento soffocare! Sto male, male davvero … di notte non dormiamo mai, perché dobbiamo stare sempre allerta! E poi anche questi pidocchi … sono insopportabili! Nei momenti di pausa invece di riposare dobbiamo metterci a schiacciare i pidocchi; li ho ovunque … sui capelli, sui vestiti, nelle scarpe! Mi sento abbandonato padre mio! Non ho più speranze, eccetto rivedervi, non so più distinguere il bene dal male …! Vorrei tanto essere a casa con voi! Non posso pensare che questa maledetta guerra possa durare ancora per giorni! Mi basterebbe vedere voi … il vostro volto rassicurante, un vostro abbraccio! Ho bisogno di affetto, di qualcuno che mi faccia sentire amato! Altro che amore … qui c’è solo guerra, odio e massacri! Padre vorrei solo che voi foste orgoglioso di me, per me sarebbe tutto! Dovete camminare a testa alta per la strada, perché vostro figlio combatte per la patria … combatte per l’Italia!

Ieri padre ho ucciso un uomo, sono molto scosso. È la prima volta che uccido, ho avuto paura … molta! Ho pensato che quell’uomo sarei potuto essere io, che come me, avrebbe voluto riabbracciare i suoi cari, ed io non avevo avuto nessun diritto di togliergli la vita. Cadorna ha detto che sono stato molto bravo, ma io non mi sento affatto così … anzi! Sento che quello che ho fatto farà soffrire la famiglia di quel povero uomo! Vorrei poter tornare indietro e non fare ciò che ho fatto, ma non posso. Posso solo rimpiangere le mie azioni!

Quanto vorrei poter essere adesso vicino a voi come quando ero bambino..! Ricordate? Che bello! Le domeniche a raccontare storie davanti al focolare e i miei, piccoli fratelli, a giocare a nascondino con la gonna della nonna! Che dolce ricordo … la nonna era sempre così dolce con noi, sempre pronta ad aiutarci. Mi ricordo quel giorno in cui eravamo andati tutti insieme a fare la scampagnata, fu bellissimo! Ricordo i campi verdi,di un verde così brillante che metteva allegria! quella ridente campagna era magica: c’era una pace assoluta, non una voce, un silenzio totale. La mattina la mamma aveva preparato le bistecche, quelle che vi piacevano tanto, una torta di mele e la spremuta d’arancia. Mise tutto nel cesto che le avevate regalato per il suo compleanno. Voi padre quella mattina eravate molto arrabbiato, perché la mamma come sempre, ci mise molto a prepararsi. Era bella … così bella che rimanevo sempre incantato ogni volta che si sedeva davanti al suo specchio e pettinava i suoi lunghi capelli d’oro. Quando arrivammo in campagna era già ora di pranzo: la nonna sistemò la coperta sul prato e la mamma cominciò a frugare nel cestino, tirò fuori quello che aveva preparato. Ci chiamò mille volte, io e i miei fratelli stavamo giocando e ogni volta che sentivamo la sua voce avvicinarsi, ci nascondevamo dietro gli alberi. Mi facevano paura quei giganti, erano così grandi,ma forse allora, non sapevo neanche cosa significasse avere paura ….! Alla fine vinse la mamma, come sempre e andammo tutti a mangiare! A fine pranzo ci leccammo i baffi: il pranzo che la mamma aveva preparato era a dir poco delizioso … ricordo che voi padre vi eravate sporcato i baffi con la spremuta e noi scoppiammo tutti in una sonora risata! Voi non riuscivate a capire perché stavamo ridendo. Alla fine la nonna esclamò :

– I baffi …!

Anche voi iniziaste a ridere. Nel pomeriggio andammo tutti a giocare e poi la nonna ci raccontò una delle mie storie preferite, la storia della volpe e l’uva. Mi hanno insegnato molto quelle semplici storie, apparentemente sciocche, ma se ascoltate con attenzione capaci di dare molti insegnamenti. A fine giornata eravamo stanchissimi, una volta arrivati a casa, ci scaraventammo sul letto e ci addormentammo senza neanche cenare. Fu una giornata bellissima!

Vorrei tanto tornare bambino e non diventare uomo senza accorgermene. Ora come mai avrei bisogno della vostra sapienza padre. Qui le condizioni diventano sempre più critiche! La mia paura aumenta di giorno in giorno e a volte il pensiero di morire mi logora dentro! non posso confidare a nessuno le mie paure, perché se mi rilevo fragile mi faranno fuori, non mi considereranno all’altezza della situazione! Vorrei nascondermi, come un topo … come se fossi colpevole … colpevole di cosa? Mi sento responsabile di questa guerra, sto contribuendo all’ eccidio di milioni di esseri umani! Uomini come me! Vorrei non dover uccidere, ma devo, altrimenti ammazzeranno me! Io non voglio morire, non devo morire, non posso morire! Devo tornare sano e salvo a casa, perché devo rivedere voi, padre! Cercherò di mettercela tutta per voi, per mia madre, per i miei fratelli. Sperò che stiate tutti bene, che quando tornerò trionfatore voi siate orgogliosi di me, di avere un figlio che ha combattuto per l’Italia! Con questo vi saluto padre mio, Cadorna chiama e quando il generale chiama i soldati devono ubbidire. Domani forse vi scriverò di nuovo, se sarò ancora in vita! Vi voglio bene padre, portate un saluto a mia madre e ai miei piccoli fratelli!
                                                                                                                                                          Vostro figlio.


Marta Trinchieri
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“Caro padre, sono qui in Trincea, sull’Ortigara, ormai da dieci giorni. Le condizioni di vita sono durissime e il clima invernale qui è molto rigido. Il generale Cadorna con noi è molto severo ed io tremo ogni volta che la sua bocca si apre e grida di rabbia, di insoddisfazione. Ho paura quando ogni sparo lontano si avvicina sempre di più, quando il giorno più duro lascia il posto alla notte e il tempo passa; ho paura quando conto i giorni, conto le ore, conto i minuti. Ho paura quando ogni giorno, ogni ora e ogni minuto piango lacrime che rigano il viso, e uccidono. Ho paura, si, perché ragazzi come me, sono corpi inermi ai miei piedi, ed io sono ancora vivo nell’immensità di questo panorama e intorno a me c’è un tappeto di ossa, di sangue. Ho paura quando questi occhi stanchi, questi occhi spenti, forti, tristi guardano l’orizzonte e lo vedono vuoto di tutto. Ho paura quando il gas che viene lanciato, mi fa sentire prigioniero di un mondo sempre più libero: mi permette di immaginare quale sarà il mio futuro. Mi sento debole quando mi cade l’elmo in seguito ad uno sparo e allora il ta-pum ta-pum del cuore birichino prende il sopravvento. Ho paura quando dopo una guerra ce n’è sempre un’altra, dopo una bomba ancora un’altra e dopo la morte di molti soldati, ancora altre e la mia. Ho freddo, cammino a stento in questa pozzanghera marrone e rossa bagnata dalle gocce taglienti della pioggia, che sembrano concludere una giornata nelle mani di un estenuante fatica. In questa enorme buca nel terreno, mi sento intrappolato, non posso immaginare, non posso vivere, ma devo solo combattere. Ho paura di non poter più rivedere voi, padre caro, e mia madre, che mi manca così tanto ed ho cercato di richiamare alla mia mente i bei momenti tutti insieme, e ci sono riuscito già durante una nottata buia, lunga….

Quando ero bambino si, che passavo le giornate seduto su quella piccola sedia e dondolavo, dondolavo nelle onde della spensieratezza e voi mi guardavate orgogliosi del figlio che vedevate. Mi mancate quando le domeniche eravamo tutti davanti al focolare a raccontare storie e i miei fratelli più piccoli a giocare a nascondino con la gonna della nonna. Mi manca viaggiare sull’auto di papà, mi manca il latte della nonna. Mi manca quando la mamma mi abbracciava le notti che non riuscivo a dormire e mi sussurrava ad un orecchio che c’era lei li con me ed io mi sentivo protetto. Mi mancano le botte di mio fratello e quando fingevamo di essere dei pirati. Mi manca quando a tavola papà mi chiedeva ogni volta cosa avrei fatto da grande e io lo guardavo arrabbiato perché non volevo diventare grande. Mi manca quando la mamma mi teneva per mano mentre mi portava a scuola e io volevo lasciarla per paura che qualcuno mi prendesse in giro. Mi manca quando a Natale papà mi faceva salire sulla scala per attaccare l’ultimo addobbo dell’albero e tutti ci commuovevamo perché era bellissimo e lui mi guardava soddisfatto ed io ero felice. Mi mancano le giornate con la nonna dove chiusi in cucina preparavamo dolci e lei mi diceva che sarei stato un ottimo pasticciere, ed io le rispondevo che anche lei se la cavava. Mi manca sentire il vento tra i capelli quando con nonno andavamo in bici e lui rimaneva sempre dietro ed ero costretto ad andarlo a cercare per riprenderlo e allora facevo mille giri. Mi manca il profumo della pasta di nonna e il suo sorriso. Mi manca quando la mamma mi portava la colazione al letto e si scordava sempre di prendere i biscotti. Mi mancano le serate “della pizza” quando invitavamo tutti i vicini per passare del tempo magico. Ricordate? Che sembravano tutti degli strani personaggi. Mi manca la primavera che avevo fuori dalla finestra e dentro il cuore. Mi mancano le attenzioni, gli sguardi, le risate, le sgridate, i litigi, mi manca tutto e mi mancate! Come vorrei essere lì, di nuovo, come i vecchi tempi. 

 Ora invece mi nascondo come un topo.. come se fossi colpevole.. colpevole di cosa? Colpevole di stare qui, colpevole di assaporare la guerra in ogni sua disordinata caratteristica. E’ una colpa pesante, ma ogni volta mi dico di essere forte come non lo sono mai stato; mi dico di resistere che poi il sole mi accecherà lo sguardo, ma è una luce che non arriva mai a colpirmi. Papà devi vedere come sono dimagrito, come sono cambiato, come sono uguale a te. Devi vedere quanto ho imparato a cavarmela da solo, a fingere che tutto vada bene mentre dentro e fuori di me il mondo sta prendendo un colore grigio, il colore della guerra. L’altra volta sono stato ferito ad una gamba, e dovevi vedere come soffrivo e tremando alzavo gli occhi come per chiedere aiuto e vedevo gambe camminarmi a fianco e vedevo sguardi fuggire dai miei: qui non c’è nessuno che si accorge di te, sei un soldato e devi comportarti come tale. Se sei morto nessuno lo saprà mai. Non c’è un posto in cui puoi liberare le tue debolezze, altrimenti poi saresti un fallito e fallire è l’ultima cosa che voglio papà. Ora sono sdraiato nel freddo della trincea, sono pallido e sogno una coperta intorno alle mie spalle. C’è questo monte roccioso che è un ring tra vincitori e vinti: non c’è lo spettatore che applaude né i fischi. C’è il sangue, ci sono le armi ed è la realtà. Non c’è la felicità, non c’è la voglia di cambiare questo inferno, non c’è l’uomo. Vorrei dirti che va tutto bene, vorrei dirti di venirmi a strappare via, ma sono il figlio orgoglioso e il soldato invincibile. Papà ci rivediamo presto. Devo andare, la prossima è contro gli austriaci. Se domani ti scrivo significa che non sono morto. Digli a mamma che sto tornando e che è sempre tra i miei pensieri.

Un abbraccio grandissimo.

Tuo figlio.


Cecilia Bernardini

Informazioni su Cristina Galizia

Docente di lettere nella Scuola secondaria di I grado IC San Vito Romano (Rm)
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