Oggi…ha aperto la nostra libreria di IA…ed è stata una gran gioia!
Ieri i ragazzi hanno deciso il nome ed hanno battezzato la classe “fino all’ultima riga”: ecco quindi il nostro nome!
Oggi abbiamo quindi inaugurato “Fino all’ultima riga” con il primo incontro!
E’ venuta a trovarci Raina (Cecilia), direttamente dalle pagine di “Smile” di Raina Tegelmeier.
Ad accoglierla in libreria Giorgia e i due lettori Paolo e Vittoria.
La libraia ha dato il benvenuto alla nostra Raina, che è stata felicissima, come ci ha detto, di sgranchirsi un po’ le gambe fuori dal libro per qualche ora 😀
Raina ha cominciato presentandosi e raccontando la sua storia…a partire da quella caduta che le è costata la perdita dei due incisivi.
Un momento molto delicato, che Raina ci ha raccontato attraverso la scena scritta per lei dall’autrice, sulla poltrona del dentista e letta dai due ragazzi responsabili del reading:
Fino ad allora la sua vita scorreva tranquilla, ma questo evento la scuote non poco. Cambia il suo aspetto fisico, cambia la sua autostima, il rapporto coi ragazzi, il rapporto con le sue amiche del cuore. Raina ci racconta come tutto sia stato messo in discussione, fin nelle piccole cose: sorridere ad un ragazzo, andare al ballo dell’ultimo anno…tutto diventa difficile. “Mi vergognavo, sorridevo senza aprire troppo la bocca, senza mostrare i denti provvisori”, ci racconta. In particolare il rapporto con due ragazzi, sebbene in modo diverso, viene incrinato dalla sua insicurezza. Ma il peggio deve ancora avvenire: alla soglia del liceo, uno scherzo traumatico ed umiliante la spinge, e la costringe, a buttare fuori tutto il suo malessere, a gridare alle amiche e agli amici che è stanca di sentirsi diversa, presa in giro, umiliata!
Raina fa leggere il passo di questo scherzo orrendo che subisce:
“Gli ho detto che dovevano rispettarmi! Alle mie amiche, che davanti mi sorridevano e dietro mi prendevano in giro, ho detto che erano delle false e che potevano anche andarsene, se volevano“. Raina grida il suo dolore, arriva a non poterlo trattenere più, ad avere la necessità di gettarlo fuori, in uno sbotto liberatorio. In modo da poter continuare a vivere, nella libertà e nella verità.
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Moltissime sono state le domande del pubblico, che sono andate ben oltre la trama, ben dentro la storia:
–Cosa hai provato quando hai dovuto portare l’apparecchio?
Avevo paura che mi prendessero in giro, che mi escludessero, che le mie amiche mi lasciassero.
-Cosa hai provato quando sei stata umiliata dalle tue amiche?
Ho sofferto molto, mi sono sentita piccola, non riuscivo a parlare. Ho pensato: “Che vergogna, mi stanno guardando tutti!”.
-I tuoi professori dell’epoca non ti hanno aiutato?
Sì, per fortuna, mi hanno chiesto come mi sentissi dopo la caduta. Però io continuavo a stare male lo stesso. Il problema era il mio rapporto coi compagni?
-Chi ti è stato più vicino?
Mia madre e mia sorella. Ma ho sentito la solitudine…avrei voluto che tante altre persone mi stessero vicino…
-La storia dell’apparecchio ti ha fatto male. Però forse ti ha aiutato a capire qualcosa delle tue amiche. Che ne pensi?
Sì, è vero. Fino alla caduta, dicevano che mi volevano bene e mi sembrava andassimo d’accordo. Poi, dopo la caduta, mi sono resa conto che mi prendevano in giro e quella che chiamavo amicizia non lo era affatto.
-Ti senti ancora con loro?
No, non ci siamo sentite più. Ho capito che non ho bisogno di quel tipo di amiche. Ora ho gli amici del liceo e con loro sono libera, sono me stessa.
-Cosa hai capito di te e dell’amicizia da questa tua storia?
Ho capito che l’amicizia, quella vera, va oltre le nostre difficoltà o mancanze. Che gli amici veri ti sostengono proprio quando sei più fragile. Se ti abbandonano, non era una vera amicizia, ma solo un farsi compagnia. L’amicizia si basa sul rispetto e non prevede alcuna forma di umiliazione.
-Ti senti più con i due ragazzi?
No, mi piacevano, ma anche con loro, per ragioni diverse, non mi sento più. Ora sono serena e…sto cercando un fidanzato.
-Sei contenta di come l’autrice ha raccontato la tua storia?
Sì sono felice che mi abbia scritto così. Abbiamo anche lo stesso nome e, forse, attraverso di me, ha raccontato la sua storia. Chissà.
-Come è oggi il tuo rapporto con l’apparecchio?
L’ho accettato, ora è un mio amico. I denti non sono più lunghi e non si vedono più tanto. Però ho imparato ad accettarlo. In fondo, mi ha fatto anche del bene.
-Quali sono le caratteristiche di un buon amico per te?
Deve essere sincero, tenere per sé le confidenze, non allontanarsi troppo, ascoltare quando si è in difficoltà.
-Perché hai aspettato così tanto a sbottare?
Se tornassi indietro non lo farei, direi a tutti subito quanto sto male. Ecco, vi dico questo, ragazzi. Parlate, parlate, parlate del vostro malessere, non aspettate di non poterne più.
A questo punto Raina ha posto delle domande al pubblico:
-E voi? Non avete mai vissuto una situazione simile?
E’ stato un bel momento. Un paio di ragazzi hanno confessato di essersi trovati anche loro in una situazione simile e di aver aspettato troppo ad esigere rispetto.
Un incontro davvero molto toccante…e profondo! Grazie Raina e grazie ragazzi!
Un bel firmadiari e un applauso per tutti voi!
NON POSSO CHE FARVI I MIEI PIU’ SINCERI COMPLIMENTI!!!
BRAVISSIMI RAGAZZI!
La prof